Una formazione italiana, per l’Italia, per il suo sistema produttivo

contributo di Piero Trupia

La formazione AIF, praticata dai suoi aderenti e proposta all’attenzione del paese, è in primo luogo da caratterizzare come formazione italiana, per l’Italia, per il suo sistema produttivo. Essa pertanto si libera dalla soggezione intellettuale verso altri modelli di successo, in primo luogo, il modello USA, che peraltro ha mostrato i suoi limiti, anche in patria nel 2008, con l’innesco di una crisi economica divenuta mondiale.
La società italiana è ben diversa da quella USA, giapponese, coreana, anglosassone in generale e possiede peculiarità positive. Tra queste un’impresa familiare dotata di una forte coesione interna e una produzione di genius loci, da cui nasce la tipizzazione del made in Italy. Questo comparto ha tenuto durante la crisi, addirittura consolidando la sua posizione nel mercato globale.
Il problema aperto e specifico del sistema produttivo italiano è l’inefficienza del sistema pubblico d’ indirizzo e di governo dell’economia. La sua crisi ha natura strutturale e culturale e su di essa la formazione italiana e l’AIF non possono non pronunciarsi e non possono non impegnarsi nel ricercare modelli formativi specifici. Un benchmark negativo al riguardo può essere la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione che non è riuscita a innovare la cultura della classe burocratica di nuova generazione per la renitenza ad uscire da una cultura amministrativa rimasta quella sabauda.
Altro aspetto su cui il sistema pubblico di governo dell’economia – amministrativo e politico – si è rivelato non all’altezza è quello del lavoro. Si è enfatizzata la sua incidenza sul costo del prodotto in una fase in cui il progresso della produttività l’ha ridotta. Si è così favorita la tendenza emotiva delle imprese a ridurre il carico lavorativo in sé, con licenziamenti e mancate assunzioni, e se ne è ridotto il costo con il precariato. Il jobs act risponde parzialmente alla necessità d’invertire una tale tendenza, resa necessaria dalla lamentata stagnazione dei consumi.
Continuare in questa lotta al lavoro sarebbe devastante per due ragioni:
si mortificherebbe il ruolo del lavoro nel sistema produttivo italiano che, al contrario, va esaltato, vista la caratteristica di genius loci della nostra produzione, non solo nel lusso, nell’arredamento e nell’agroalimentare, ma anche nella meccanica, nella utensileria, nella robotica e nel biomedicale;
si aggrava la crisi dei consumi per la ridotta distribuzione del reddito conseguente alla mancanza di lavoro e alla sua condizione precaria.
Sono due problemi, la cui soluzione richiede un’aggiornata cultura pubblica sul lato politico e su quello amministrativo. Un’esigenza sulla quale l’AIF può far sentire la sua voce.
Testimonianze positive e autorevoli d’intervento privato sulla cultura pubblica sono quelli quarantennale del CENSIS e quello, in atto da pochi anni, della CGA (Confederazione Generale dell’Artigianato) di Mestre.
Nel dire di Francesco Varanini una formazione liberata è quella consapevole del proprio ruolo e della sua specificità liberante.
Il formatore libero e liberante è autorevole nell’ambito professionale e nello spazio sociale. A tal fine il formatore deve essere consapevole del contesto della sua attività, precondizione per essere incisivo, e deve essere culturalmente indipendente.
Un aggiornamento necessario per il formatore italiano riguarda la dimensione economica dell’impresa insieme a una capacità di valutazione critica delle carenze e delle contraddizioni della dottrina economica vigente, che appartiene al moderno e non al postmoderno, nonché una conoscenza degli stakeholder politici e amministrativi del sistema produttivo e, di riflesso, di quello formativo. Riguarda anche il ruolo del lavoro nei sistemi produttivi odierni, che ha da essere sempre più qualificato e professionale.
Infine la sottolineatura di un’impresa pacificata con una partecipazione generalizzata alla gestione che ne fa un’avventura comune nel senso di venture, o, nella nostra lingua, impresa conviviale. In Germania il lavoratore a tutti i livelli non è un dipendente ma un collaboratore (Mitarbeiter) e i suoi rappresentanti siedono nel consiglio di amministrazione (Mitbestimmung).

 

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