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La questione del linguaggio del vino e dell’educazione al sentimento

Il vino è un mezzo. Il vino parla.
Attraverso il vino abbiamo il riflesso della nostra mente. E non solo per una questione alcolica, sebbene l’alcol ricopra un ruolo risolutivo nell’espressione e nella comprensione del liquido stesso.
La bellezza del vino è nelle contemporanee inafferrabilità e concretezza.
Per questo motivo il linguaggio col quale lo descriviamo assume grande importanza, a patto che rimanga una questione fortemente soggettiva e che non passi in mente a nessuno di immaginare un modello descrittivo.
La libertà di associazione è il primo passo per coltivare un linguaggio.
Il vino parla attraverso di noi. Si tratta del suo idioma e non proprio di come noi lo trasformiamo attraverso una lettura analitica. La libertà di associazione aiuta a comprendere la relazione che si stabilisce tra il vino e la sensorialità di ciascuno. La libertà di associazione nasce con noi, è insita nelle facoltà intellettuali e di sentimento. È corretto parlare d’intelletto del cuore. Il vino tocca sistemi del nostro organismo nei quali i confini tra razionalità ed emotività sono molto labili. La nostra capacità di sentire non si misura col riconoscimento, quello è un utile virtuosismo per tenere vivo e vigile il sistema con cui riceviamo un segnale e lo mettiamo in contatto con la memoria, è un allenamento. Poi, scatta il sentimento, ed è qui che nasce la necessità di un’educazione sentimentale verso soggetti e materie vive, come il vino, che richiedono una disciplina al sentimento. La disciplina al sentimento passa attraverso l’“abbandono” del vino, abbiamo bisogno di aprirci a noi stessi, capire se vogliamo, fino in fondo, trasformarci in esseri sensibili. Perché allora il vino? Perché la sua varietà e il potenziale di segnali che sa donare. Perché entra nel nostro organismo sotto forma di alimento fisiologico e si trasforma in alimento spirituale, un nutrimento dello spirito.
Educare e educarsi col vino e al vino è comporre un viaggio senza meta, è vivere se stessi, essere il docente e il discente nello stesso momento, in una reciprocità che si basa su un unico principio: l’onestà verso se stessi, verso il proprio gusto (sentimento composito), senza il timore di scoprire parti di sé imprevedibili, inaspettate, spiazzanti, inimmaginabili e scomode (da accettare).

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