Il Cinema per liberare e liberarsi

contributo di Dario D’Incerti

In questo ultimo periodo della mia attività professionale ho cercato soprattutto di mettere in luce uno dei paradossi della contemporaneità, che vede una sovrabbondanza di informazione a cui non si accompagna però un aumento di conoscenza altrettanto significativo; quello che viene spesso a mancare è la capacità di dare senso alle cose e alle esperienze.
La società in cui siamo immersi e in cui agiamo e operiamo prende sempre di più la forma di una “messa in scena”, di una “rappresentazione” da cui la realtà sembra quasi voler fuggire (come già anticipava profeticamente Guy Debord quasi cinquant’anni fa). Per emergere da questo magma indistinto, si finisce per ricorrere a forme sempre più estreme di spettacolarizzazione. Ed esporsi a una qualsiasi forma di spettacolo ha già di per sé una valenza formativa. Per me, quindi, liberare la formazione ha il significato di mettere se stessi e – possibilmente – aiutare gli altri a mettersi nella condizione di non subire troppo passivamente il flusso soverchiante di stimoli che il mediascape contemporaneo ci scaraventa addosso quotidianamente. Il contrario della libertà è la schiavitù e la schiavitù è figlia dell’ignoranza, perché quanto più siamo ignoranti tanto più siamo schiavi (di false credenze, di bufale giornalistiche, di guru mediatici, di leader improbabili, di superstizioni parareligiose, eccetera). Il percorso da compiere per uscire da questa situazione di minorità è però tutt’altro che semplice. Richiede infatti una vera e propria alfabetizzazione rispetto ai linguaggi che oggi imperversano e che non sono più solo quelli tradizionali della parola scritta o della “bella forma” ma sono linguaggi iconici, sonori, sono pratiche “basse” (come sono state spesso considerate il cinema, la televisione, il fumetto, la pop music…) che si intrecciano tra di loro in un viluppo inestricabile. Da questo punto di vista, il cinema, condensando in sé molti di questi elementi, può essere un terreno davvero favorevole,  un “campo pratica” tra i più densi di suggestioni e di possibilità.

Un pensiero riguardo “Il Cinema per liberare e liberarsi”

  1. Quanto hai ragione, Dario!
    D’altro canto è così, si ricorre sempre più spesso alla spettacolarizzazione mettendo in secondo piano i contenuti. E si finisce sempre lì, col fare le stesse cose nello stesso modo, perchè “è così che si fa”, solo che si ottiene lo stesso risultato: l’evento formativo è stata una bella pausa, la vita reale è altro e “bisogna darsi da fare, non sognare”.
    L’altro giorno ho assistito ad un evento formativo “underground”, nella sala delle riunioni di un condominio dove ha abitato per anni un fisico, il Dr. Pier Giorgio Merli del C.N.R.di Bologna, deceduto nel 2008 e autore nel 1974, assieme ai colleghi Missiroli e Pozzi, di quello che la rivista “Physics World” ha definito nel 2002 come “l’esperimento più bello della fisica”, prima di quelli di Galileo, di Newton e di altri nomi eccellenti.
    C’erano una quarantina di persone, per la maggior parte “amanti della fisica” e solo 3-4 fisici professionisti.
    Chi c’è stato poteva percepire , respirare, l’intensità dell’afflato emozionale che univa persone di razza, sesso, estrazione sociale, opinioni diverse fra di loro unite tutte dal comune denominatore che quell’esperimento che illustra così bene cosa sia la fisica quantistica che dovrebbe far parte del “welcome kit” di chi s’iscrive a fisica, generava.
    Questo, unito ad altre sinergie, ha fatto sì che lo andassi a proporre – assieme a un fisico del C.N.R., il Dr. Giorgio Lulli – all’Opificio Golinelli, nuova creatura formativa della Fondazione Golinelli qui a Bologna.
    Creatura che si affianca a quel gioiello che è il MAST, la Manifattura di Arti, Sperimentazioni e Tecnologie, al Mambo il Museo di arte contemporanea di Bologna, al Museo del Patrimonio Industriale, al Museo Civico Archeologico, La Fondazione Aldini-Valeriani, e a tante altre realtà che costituiscono la filigrana culturale di una città.
    Ma lo stesso vale per Milano, Treviso, Trieste – dove il Parco delle Scienze è il concorrente più temibile del CERN di Ginevra – a Firenze, a Pesaro, a Lecce, a Napoli, a Roma, a Palermo, ecc.
    Ecco, secondo me per fare formazione non bisogna fare delle astrazioni teorico filosofiche, che pure hanno una loro bellezza intrinseca come la matematica di Heisemberg che assieme agli esperimenti di Bohr e alla concettualizzazione del mare di Dirac, definisce cosa sia la meccanica quantistica, bensì bisogna calarsi nel profondo della società per andare a scoprire dettagli attorno ai quali si possono proporre eventi formativi di senso, che abbiano un “mercato”, inteso come audience interessata.
    Forse, lo sviluppo della formazione non bisognerebbe lasciarlo a chi si occupa di formazione, bensì assegnarlo a chi si occupa di sviluppo.
    Forse, lo sviluppo della formazione non bisognerebbe lasciarlo a leggi, protocolli, procedure, a formazione finanziata che prevede certificazioni e corsi obbligatori. tutta roba che secondo me favorisce uno snaturare dei processi formativi, bensì bisognerebbe lasciarlo alla fantasia e alla creatività di artisti, di operatori economici e sociali che sappiano veramente cosa sia la vita reale.
    Ecco che il liberare la formazione dalla costrizione di vincoli rigidi potrebbe aumentarne la visibilità, i collegamenti, esondare dal suo bacino d’utenza attuale e che è perennemente uguale a quello di anni fa, a parte la certificazione delle competenze – a mio avviso un’arma a doppio taglio: non siamo dei geometri, dei commercialisti o degli avvocati.
    Ecco che si potrebbe suggerire che la prima formazione nasce in famiglia. Wilbur Smith in un articolo dal titolo “I muscoli dell’immaginazione” sul supplemento “La Lettura del Corsera scrive che “c’è stato un tempo in cui le mamme, la sera, leggevano un libro ai loro bambini. andò così anche a me. E (anche) per questo che sono diventato uno scrittore.”
    Ma le mamme oggi guardano i talent o i reality shows , lasciando i figli annoiarsi e degenerarsi sui tablet o sugli smartphones. C’è una disgregazione del tessuto sociale che origina e trova la sua fine nella famiglia.
    Allora, bisogna che noi andiamo a battere le scuole, che proponiamo ad esse momenti formativi extracurriculari basati sullo story telling, sulle testimonianze di vita vissuta.
    E, piano piano, farci conoscere in modo diverso.
    Ma anche il mondo della formazione è frammentato, frammentato a mio avviso perchè gli manca di radunarsi attorno ad una personalità bandiera, la cui immagine definisca la formazione.
    Ecco che se i francesi hanno Jean Piaget,se gli americani hanno John Dewey, gli italiani potrebbero avere Maria Montessori . O no?
    Mi accorgo che mi sono scaldato, è bene che termini qui il mio intervento.

    Con Affetto,
    Graziano

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *