Liberare il nostro apprendere

Contributo di Francesco Varanini

Liberare la formazione: non più forme ridotte a formule, non più scaffali contenenti oggetti già stabiliti, ma invece il plastico formarsi -‘prendere forma’- della ‘materia della conoscenza’. Immersi in contesti multiculturali, multietnici; spinti dal procedere della scienza, dalla continua innovazione tecnologica, dal mutamento degli scenari politici, dalle evoluzioni del mercato, dobbiamo reinventare quotidianamente i modi tramite i quali costruiamo e condividiamo conoscenze. Dobbiamo costantemente liberare la formazione dalle forme che essa ha assunto, per cercare forme adatte a nuove esigenze, adeguate a nuovi contesti.

Dobbiamo sceglierci i maestri e apprendere ad apprendere da soli.

La formazione aziendale e la formazione in aula sono nobilissime modalità attraverso le quali si manifesta l’apprendimento. La nostra Associazione è nata quaranta anni fa come luogo di riflessione attorno alle esperienze maturate da formatori d’aula impegnati in interventi in azienda. Ma oggi, ormai ben dentro ormai il nuovo secolo, dobbiamo guardare oltre. Essere l’associazione che raccoglie i formatori non impedisce di essere anche, o sopratutto, l’associazione che si occupa di apprendimento. Guardando all’apprendimento come processo che vede ogni essere umano teso ad acquisire conoscenze. Liberare la formazione: liberarci da forme che condizionano fino talvolta a svilirlo, il nostro apprendere.

Apprendere: (g)hed, radice indeuropea, sta per ‘prendere’, con un’ampia gamma di sfumature che oggi ci sfuggono. Pensiamo a piante rampicanti, ed in particolare ad una: l’edera. L’edera è ‘quella che prende’. Si solleva senza cedimenti; cresce senza posa, si rigenera costantemente. In latino, per limitare e affermare il vasto senso del prendere, si aggiunge il prefisso pre. Un prefisso che ci parla di ‘in avanti’, ‘attraverso’: pensiamo alla prua di una nave. Ecco così prehendere. Possiamo aggiungere quindi una immagine: la preda. Preda è ciò che si cerca di prendere: ci si appropria di una cosa, di un bene, di una risorsa. Ma preda è anche ciò da cui si è presi: siamo preda, vittima di un desiderio, di un sogno.

Ma non basta: in latino si antepone a prehendere un altro prefisso: ad. Ad sta per avvicinamento, tendenza verso un fine, passaggio di stato. Giungiamo così a adprehendere: ‘carpire’, ‘abbracciare una fede’, ‘impadronirsi’, ‘raggiungere’.

L’apprendimento è il complesso stratificarsi di questi sensi: l’edera, la prua, la preda, l’afferrare e il raggiungere. Al mero prendere possesso si aggiungono, a rafforzarlo e a precisarne la direzione e lo scopo, i due prefissi: l’andare in avanti, il tendere verso un fine.

Liberare la formazione significa dunque porre al centro dell’attenzione il nostro e l’altrui apprendere.

Apprendere è ‘afferrare con la mente’, ‘imparare’, ‘venire a conoscere’, Prendere, afferrare, toccare, valutare, giudicare , far proprio, ricevere, accogliere. Ma è anche insegnare, ammaestrare: “E quante cose/ la bella Elvira m’apprese! le lettere/ dell’alfabeto, un po’ d’astronomia/ perfino” scrive il poeta Umberto Saba.

Dante chiede a Virgilio: “‘Quei sono spirti, maestro, ch’i’ odo?’, diss’io. Ed elli a me: ‘Tu vero apprendi’” (Purgatorio, 16, 22-23). Dante sta apprendendo: ha formulato – ha formato, ha dato forma a una ipotesi. Il maestro risponde all’allievo: hai colto, hai afferrato il vero. Il maestro -potremmo dire il formatore- fornisce conferme e sconferme, ma l’allievo è un uomo che percorre la propria strada, il proprio cammino di libertà.

Istante dopo istante, lungo il nostro cammino di libertà, ci afferriamo a qualcuno che possa sostenerci e afferriamo qualcosa, qualche nuova conoscenza.

Perciò questo Convegno si rivolge sì a tutti coloro che si occupano professionalmente di formazione e di apprendimento. Ma si rivolge anche -o forse innanzitutto- a ogni cittadino che, responsabilmente, si occupa della propria formazione. La formazione è un bene comune che può e deve essere condiviso.

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