Ringraziando gli dei, affrontiamo il tema della formazione

contributo di Giorgio Ortu

Il problema della formazione è urgente ed enorme. Bisogna reinventarsi una didattica, ma non partiamo da zero, perché i supporti informatici non potranno, e non dovranno!, sostituire l’oggetto fisico-libro cartaceo.

In un mondo globalizzato e sempre più artificiale (o meglio, virtuale) si perde inevitabilmente il contatto con la realtà materiale –unica relazione capace di mantenerci in salute psicologica e di stimolare la nostra sete di conoscenza: un esempio clamoroso di tale perdita di contatto con la realtà è la fortuna che ha avuto per decenni una filosofia balorda come il post-moderno, la cui origine è appunto la sensazione -volta paradossalmente e inconsciamente in positivo- che l’unica realtà sia appunto quella edificata dagli uomini.

Ma ci sono ancora due conseguenze nefaste quando la realtà si allontana dalla mente: una è l’impoverimento simbolico, visibile a tutti e che già nei primi decennio del secolo scorso Jung aveva individuato; l’altra conseguenza è la perdita di potenza degli schemi, che pure sono natura e senza i quali è impossibile condursi nel mondo per la vita immediata.

E poiché seguendo Platone diciamo che scopo della vita umana è la conoscenza, ecco che oggi il libro, come d’incanto, ne viene rivalutato. Il libro come oggetto materiale e fonte di conoscenza è allora necessario -per la salvezza umana- che duri ancora per molto (diciamo finché l’uomo resterà Sapiens, dunque ancora 20-30.000 anni? Direi di sì!), e ciò perché consente, grazie alla sua consistenza fisica, di toccare e odorare: toccare, cioè, come diceva Aristotele, arrivare alla verità, poiché questa è un toccare e un vedere; odorare, vale a dire immergersi nella meraviglia del sogno che inebria la mente, sentendo il profumo che emana da un libro intonso. Questo toccare e questo odorare sono capaci di connettere la conoscenza astratta alla concretezza, alla materialità.

Vedo molto male un mondo prossimo futuro in cui l’acquisizione del Sapere diventa un fatto automatico sia pure mediato dal senso critico che orienta nella ricerca. Perché la conoscenza ha il suo lato profondamente umano nella socialità e nella concretezza materiale, che solo il libro può dare. Lo so, anche il tablet è un oggetto materiale, ma a differenza del libro non ha odore, e non ci puoi “pasticciare” o annotare sopra -ah certo, di sicuro nel mercato comparirà anche un tablet del genere, anzi, c’è già…, ma, a parte l’odore, è una non trascurabile fonte di schizofrenia quella di “pasticciare” con una matita particolare un aggeggio elettronico pieno di luci, poiché la manualità della scrittura è un gesto antico e profondamente umano, che diventa astratto quando si applica al tablet, perché il tablet è solo bit di informazione.
Di sicuro però c’è che un testo digitale può essere modificato a piacere, e questo è un

vantaggio non trascurabile per chi scrive. Io stesso mi trovo perfettamente a mio agio con la scrittura elettronica, e anzi dirò che addirittura sono più creativo quando uso il computer di quando scrivo a penna. E allora? Il riferimento alla scrittura era solo incidentale, non voleva essere una svalutazione del mezzo elettronico, che per fortuna abbiamo e dobbiamo e possiamo usare proficuamente. No, il discorso riguarda le capacità di “formazione” alla conoscenza degli apparati elettronici e il libro come formatore, non solo alla conoscenza ma anche alla vita. Ed emerge qui secondo me che il libro risulta fondamentale, e, ripeto, lo sarà ancora per molto tempo.

E poiché non credo che la realtà oggettiva abbia in sé delle contraddizioni ma supporti solo delle opposizioni (senza contraddizione) e dei contrasti -perché la contraddizione è lecita nell’arte e nel pensiero ma non nell’oggettività-, penso che bisogna ringraziare gli dèi per il fatto che abbiamo dei problemi da risolvere, come il problema della formazione, i soli capaci di dare un senso all’esistenza.

La formazione che non esiste

contributo di Marco Bruschi

Il titolo del Convegno Nazionale Aif di novembre potrebbe essere “Liberare la formazione”, come viene raccontato nel post dell’organizzatore incaricato, Francesco Varanini. Nel post viene espressa la possibilità/necessità di liberare la formazione dalle consuetudini.

Penso che si possa addirittura andare oltre. La formazione dovrebbe essere liberata anche dalla parola formazione. Se ci si continua a proporre come “formatori” la cosa può continuare a essere percepita come insegnante-studente, come piedistallo-plebe, alto-basso.

Il formatore dev’essere percepito a latere. Continua a leggere La formazione che non esiste

Liberare spazi per la nostra formazione, per fare formazione, per essere formatori

contributo di Matteo Fantoni

Devo confessare che fino a quando non mi è accaduto di essere licenziato, non ho mai pensato davvero alla mia formazione. A cosa significasse per me e cosa significasse per le organizzazioni in cui operavo. Anzi ero convinto di non aver bisogno di nulla. Per il mio lavoro ero completamente autosufficiente. Non avevo nulla da imparare. Ero saturo. Certo, partecipavo ogni tanto a qualche occasionale corso aziendale. Ma senza grande entusiasmo o attesa. Dopo il licenziamento mi sono accostato al tema, ma forse ancora in una logica di come valorizzare il mio cv. Fare formazione era un modo di aggiungere un titolo per farmi notare dai cacciatori di teste. C’erano però dei pensieri che agitavano e che avevano a che fare non tanto con cosa dovessi imparare, ma come potessi imparare di nuovo. Dopo una laurea in Filosofia, conseguita con grande passione, avevo continuato a leggere, ma come un fenomeno carbonaro, di nascosto. Con gli occhi di oggi, potrei dire che ero alla ricerca di spazi di libertà, di momenti di autenticità. Di qui l’incontro con Assoetica e poi con Ariele e la scoperta che la formazione poteva essere qualcosa di completamente diverso da quello che mi aspettavo: non semplicemente contenuti da assorbire, ma spunti per pensare: per ripensare alla crescita professionale non più come un aspetto separato e segregato della personalità, ma come una modalità di sviluppo complessivo. E soprattutto ripensare alla crescita in modo più ampio, più libero, meno da “percorso di carriera”, che spesso diventa un cammino su rotaia, obbligato. Continua a leggere Liberare spazi per la nostra formazione, per fare formazione, per essere formatori

Liberare la formazione. Per formare alla libertà.

contributo di Francesco Varanini

Guardiamo alla ‘formazione’ che desideriamo per noi, e alla formazione che offriamo agli altri -sia stando dentro un ruolo professionale, intesa come attività remunerata, sia in spirito di gratuità e di dono.

Guardiamo ai mezzi, agli strumenti, ai luoghi e alle istituzioni tramite i quali si esplica ogni quell’insieme di attività che chiamiamo ‘formazione’.

Possiamo in generale dire che ci compete liberare la formazione dalle angustie nella quale è costretta. Continua a leggere Liberare la formazione. Per formare alla libertà.